Castigliano Eusebio - Torino Club Fedelissimi Granata Pesaro

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EUSEBIO CASTIGLIANO

Il ciclista Castigliano zampa di velluto con un cuore da leone

"Andava in giro in bici perché preferiva spender soldi in cibo e vino piuttosto
che in benzina"


I soprannomi decisi dal popolo granata per Eusebio Castigliano erano contrastanti: o Zampa di velluto, per dire di un certo suo modo fluido di stare dentro la partita, con piede pronto ma soprattutto furbo, o Vecchia Pro, per dire della scuola vercellese (la Pro Vercelli dei leoni ovviamente indomiti) da cui proveniva, una scuola che prediligeva la forza fisica, la volontà acerrima, Se si vuole, riuscire a fare convivere due soprannomi così era una specie di gioco di prestigio, un pregio straordinario di uno straordinario mediano laterale, che sapeva toccar di fino se proprio ce n'era bisogno, ma che non dimenticava mai di gettare nella mischia la sua straordina-ria fisicità, talora concentrata in un tiro violento, come certi tifosi granata antiqui sostengono di non avere visto più, da quei bellissimi tempi.
Castigliano da Vercelli era andato a giocare a La Spezia, poi era passato al Torino che però siamo agli anni di guerra lo aveva parcheggiato a Biella ed a Vigevano prima di rìchiamarlo per fare la squadra dei prodigi. Le trasferte in bicicletta da Vercelli a Biella, per gli allenamenti avevano fatto le gambe a Castigliano, e quando ricordate avevano contribuito alla mitica del personaggio. Vercelli era ritenuta miniera, giardino, fucina di giocatori grandi anzi sempre più grandi: Dall'Ara, Milano Piola, Depetrini e proprio nel Torino di Castigliano, Piero Ferraris detto Ferraris 'I'... Tutti atleti forti che avevano spostato sul campo di calcio i duri principi di vita della città del riso, della zona fatta di paludi e di paure del futuro, di un ambiente pieno di bisogni e di voglie.
Castigliano aveva interpretato il Torino Come il posto giusto per fare un lavoro che era anche un ringraziamento: il campo da calcio al posto della risaia, un cambio di destino da omaggìare con l'impegno massimo, se del caso anche arcigno. Il fatto di avere propiziato la sconfitta granata nel primo derby ufficiale del dopoguerra, con un fallo da rigore, era stato interpretato da lui come un segnale al quale rispondere con fortissimi controsegnali: aveva chiesto scusa ai compa-gni e si era gettato nella lunga mischia con seriosità da lavoratore: a costo di umiliare ogni tanto l'artista del calcio che senza alcun dubbio stava in lui.
Con i suoi tiri da lontano, uno anche buono per un gol in azzurro, potrebbe adesso vivere di rendita, una botta ogni tanto e poi tanto mestiere. Ma allora non vigevano certe comodità, e Castigliano si sudava ogni partita. Si sudava anche sudore freddo) ogni infortunio, per paura di perdere il posto. Una volta che un incidente al ginocchio lo fermò a lungo, quasi decise che ormai la sua bella storia stava finendo, e ci vollero la pazienza della moglie Wanda, la solidarietà dei compagni per tirarlo fuori da quello che adesso sì definirebbe un tunnel.
Era costato 600.000 lire, non troppe e non poche per l'epoca. Con il premio di 100.000 lire del primo scudetto si era permesso anche una bicicletta da corsa, e pedalava in Borgo San Paolo felice dell'invidia bonaria della gente, La bicicletta era il suo mezzo abituale di spostamento, e non per snobismo. Preferiva, diceva, investire in cibo ed in vino che in automobili e benzina. Erano famosi certi suoi sprìnt per arrivare primo a finire la pastasciutta, che spesso gli veniva servita in porzione doppia senza che lui manco se ne accorgesse, Lui non lo sapeva, ma in quel Torino il suo ruolo era importantissimo. Garante (però allora non si scriveva così) della scuola calcistica regionale, visto che lui con Gabetto era l'unico dei titolari nato in Piemonte. Portatore di una semplicità spinta, per un amore facile e intenso insieme da parte della tifoseria. Incarnante il legame fisso, comodo della tìfoseria alla squadra, visto che era molto facile incontrare per strada Castigliano, parlare con Castigliano, affidare a Castigliano un tifo che era un amore. In campo arrivava anche, lui di carattere fondamentalmente buono, pacioso, ad assumere un ruolo giustizialistico, se a partita rendeva necessario un intervento speciale, forte, un monìto ad un avversario cattivo.
Riusciva ad essere un grande giocatore anche quando lo volevano capopopolo vendicatore, Sapeva di calcio moltissimo: senso di posizione, marcamento, smarcamento alta balistìca Poteva anche praticare un gioco decisamente spettacolare, aveva i piedi giusti, Pativa un poco gli allenamenti rigidamente programmati, era per un football naif, quello della sua gioventù a Vercelli. Pativa Martelli la sua riserva, meno atletico ma più dinamico di lui, meno elegante, molto operaio. In alcune occasioni si ritenne ormai lasciato indietro dai propri infortuni e dalla straordinaria vitalità dell'altro, rivale ancorché amico, Calzava benissimo Torino, anche perché sapeva trasformarIa in un borgo di Vercelli. Piaceva a Vittorio Pozzo, il commissario tecnico azzurro di radici biellesi, dunque vicine alle sue, Dai compagni era molto considerato, molto amato: proprio come dai tifosi, In campo assumeva spesso un ruolo messianico, particolarmente quando latitava Valentino Mazzola: nel senso che era lui a farsi primattore per un gol salvifico, Segnava molto, moltissimo per un mediano. In un solo girone d'andata arrivò a 13 gol.
Il suo tiro sembrava il prolungamentto della sua corsa rettilinea, determinata, precisa.
E anche della sua vita.




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