Mazzola Valentino - Torino Club Fedelissimi Granata Pesaro

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VALENTINO MAZZOLA

Il capitano

Valentino, mai più nessuno come lui

"Fu un mostro di praticità, serietà e umiltà, stregò compagni e rivali ma fu pure uomo molto solo, poco portato a fare gruppo"

Scritta più volte, una pagina della leggenda del Valentino salvatore e sterminatore, mediata dal ricordo sempre caldo di Giampiero Boniperti, serve a dire tutto del personaggio sul campo. Dunque Boniperti aveva segnato nel derby un gol al Toro, già dentro al solco incipiente di una sua abitudine subito cara ai bianconeri e subito odiata dai granata. Aveva segnato nel senso che aveva tirato a colpo sicuro, Bacigalupo già battuto, e stava eseguendo un mezzo giro di valzer, per arrivare
nella danza felice sino a centro campo (allora non si usava andare verso la curva degli amanti). Però magicamente sulla linea della porta torinista era apparso, come creato là, sul momento, dal dio del calcio, Valentino Mazzola, che alzando il piede aveva fermato e subito domato con semplicità irridente quel forte pallone. E allora il giovanissimo Giampiero Boniperti si era preso la testa fra le mani, e aveva trasformato la danza in un dolente procedere fuori dell'area di rigore. Pochi metri, pochissimi secondi, e poi non aveva resistito a vedere come andava il gioco. Ecco, Mazzola era già avanti, lontano, era in area di rigore della Juventus, tirava, segnava.

Ancora adesso, dopo che ha visto tanto calcio oltre a quello di quei tempi, Boniperti sostiene che Mazzola inteso come Valentino, e pur col massimo rispetto per Sandro, è il più grande giocatore che si possa sognare per una squadra, in chiave di utilità assoluta di questo stesso giocatore. E nella valutazione entrano anche i Pelé, Garrincha, Cruijff, Platini, Maradona...
Valentino Mazzola giocava per il Torino, connotava il Torino, era il Torino, ma stava con il cuore a Milano, dove aveva i figli, la moglie che non diventava ex moglie soltanto perché il divorzio allora non esisteva, e da dove Inter e Milan lo chiamavano.
Era un lombardo arrivato a Torino via Venezia, guadagnava premi doppi degli altri giocatori ma era sempre poco rispetto a ciò che altrove gli offrivano, aveva un carattere che non lo portava facilmente a fare gruppo.

Chi scrive queste righe lo ricorda, solo, a vedersi un film giallo, in un pomeriggio qualunque, nel locale più centrale della città, dove adesso non potrebbe avventurarsi e per pochi istanti neppure il sosia di Del Piero, pena il soffocamento da folla, e a sorbirsi per quasi un'ora, senza ovviamente reagire, gli sguardi trapananti, intriganti intanto che sognanti di un ragazzino che sognava già di fare il giornalista e intanto era pienamente immerso nel mondo dei sogni granata.
Mazzola per i granata era un postero di Nembo Kid, o se preferite un antenato di Superman. Per la verità l'eroe fumettistico di quei tempi al quale lo appoggiavamo era un certo Jim Toro, il cui nome spesso si scriveva italianizzato Gim e il cui cognome era il massimo per noi tifosi granata. Jim Toro aveva un partner che si chiamava Burianakis il Greco, e che era Loik. Mazzola risolveva tutti i problemi con azioni squisitamente umane. Di altri calciatori si cominciava a scrivere che volitavano, levitavano e lievitavano. Di lui si esaltava sempre la praticità. Chi, come noi, lo ha visto giocare per ore, stenta a ricordare un suo svolazzo, un suo ghiribizzo eminentemente artistico, una sua fantasia eccessiva. Mazzola colpiva di testa perché saltava bene con azione molto geometrica, non perché si avvitava nell'aria a scalare il cielo, o si aggrappava come uno stregone a una corda invisibile. Mazzola aveva un tiro forte ma non dinamitardo, così che doveva anche essere preciso. Mazzola dribblava ma non umiliava. Mazzola era veloce ma non guizzante, resistente ma non fachiresco. Era robusto ma non atleticissimo. Era grande, ma proprio non alto. Era biondo ma non delicato, biondo ma non strabello.
Era un giocatore di enorme rendimento e - ma allora il termine non si usava propno - di fortissimo carisma. Gli avversari non lo dovevano subire. Molto semplicemente, lo dovevano accettare. Non gli ricordiamo un fallo, nè commesso né subito. Parlava con gli arbitri, loro lo ascoltavano, chiedeva soltanto il permesso di poter giocare il vero football.
Ogni tanto portava al Filadelfia i suoi due bambini, Sandro e Ferruccio. Dei suoi problemi famigliari, di una separazione che allora poteva fare scandalo, si sussurrava appena. Il personaggio non era assolutamente mondano, si indovinava in lui una forte voglia di paese (era nato a Cassano d'Adda, dove poi sarebbe nato un altro importante biondo del nostro sport, il ciclista Gianni Motta), di trattoria, di partite a bocce. Non amava parlare, e quando parlava non affascinava certamente. Aveva persino una voce leggermente chioccia.
Chi scrive queste righe va d'accordo su pochissime cose con Giampiero Boniperti, e questo è stato il presupposto per l'instaurazione di una fortissima amicizia basata sui confronti, sui contrasti, sul gioco psicogeometrico degli spigoli.
Uno dei rarissimi punti di convergenza è sull'utilità supermassima di Valentino Mazzola per una squadra, qualsiasi squadra di qualsiasi football.

Concetto sodo, sicuro.

Il resto è leggenda, di quella tosta, sudata, operaia, altro che poetata.



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