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LEO JUNIOR
Leovegildo Lins da Gama Junior è nato a Joao Pessoa (Brasile) il 29 giugno 1954. Difensore laterale, infine regista, ha giocato nel Flamengo fino al 1984, quindi nel Torino dal 1984 al 1987, nel Pescara dal 1987 al 1989, prima di tornare in Brasile, ancora nel Flamengo con cui chiuse la carriera nel 1993, dopo 857 partite e 73 reti con la maglia rossonera. In Nazionale ha partecipato a due Mondiali (1982 e 1986) sommando 81 presenze e segnando cinque reti.
Non ha più tutti quei capelli che gli valsero il nomignolo di O Capacete, semplicemente "il casco". «Ma a quel tempo andavano di moda così, c’era il black power che imperava... oggi ne ho di meno, e quelli che ho sono bianchi». Leo Junior, ora cinquantacinquenne, ha la stessa energia di sempre, la stessa limpidezza di sguardo e di giudizio. Gioca ancora, «e mi vedrete in Italia a ottobre, ho già detto di sì alla partita di beneficenza che ci sarà a Pescara a favore delle vittime del terremoto, mi ha chiamato Massimo Oddo», e al calcio con gli amici ha unito anche le partite di pallavolo e di futvoli, ovvero la pallavolo che si gioca senza usare le mani ma solo con i piedi: gli dovesse mancare il tocco di palla, a uno come lui.
Non si è più staccato dall’Italia, il mitico Leo, «ho vissuto un periodo fantastico, come giocatore e come uomo», e lo sanno bene i tanti nostalgici di quel Toro fiero e tosto, e di quel Pescara che con le idee di Galeone e quel cuore brasiliano entusiasmava l’Adriatico. Lui che in Brasile aveva vinto tutto, con il Flamengo di Zico, non ebbe esitazioni a scendere nell’arena e battersi per altri traguardi. «Non ne ho mai fatto un problema. E’ stato fantastico ad esempio riportare il Torino in Uefa e conquistare il secondo posto in campionato, dopo aver vinto il derby con un colpo di testa di Serena all’ultimo minuto», ed era stato lui a dipingere un calcio d’angolo fino alla testa del centravanti veneto, sotto la Maratona impazzita. E ancora: «Come anche non dimenticherò mai la felicità per aver salvato il Pescara, per me era come vincere lo scudetto». Uomo di parola e di fede, di sentimenti e amicizie vere come le tante che ha lasciato in Italia: «Almeno una volta a settimana mi sento con gli amici, da Dossena a Giampiero Gasperini», sì, il tecnico del Genoa che a Pescara gli lasciò la sua fascia di capitano, gesto di cuore e di rispetto.
Leo invece ha provato appena a sedersi in panchina, Flamengo e Corinthians, quando ha smesso di giocare, ma ha lasciato subito. Tredici anni fa ha cominciato a commentare le partite in Tv, la passione è diventata un mestiere: dopo SporTv, ora è tra i più apprezzati opinionisti di Rede Globo, la più importante del Brasile. Abita a Rio de Janeiro, alla Barra de Tijuca, un elegante insediamento residenziale, con la famiglia. Ha tre figli, Rodrigo, Juliana che è nata in Italia, e Carolina. Rodrigo gioca a pallone, centrocampista, come il padre nella seconda parte della carriera. L’anno scorso nel Bangù, ora cerca una nuova squadra. «Essere mio figlio può averlo aiutato soltanto all’inizio, ma alla lunga lo ha penalizzato. In Brasile si fanno sempre i paragoni». Sa da solo quanto sia difficile emulare uno come lui, protagonista di una delle Seleçao più ammirate, quella del 1982, così amata, disperatamente, proprio perché non vinse. «E’ così, ed è un paradosso del calcio - ragiona Leo -. In un mondo in cui il più bravo è sempre quello che vince, noi siamo ricordati ancora dopo ventisette anni come attori di una delle squadre nazionali migliori, quasi come quella del 1970». E se lo spiega, Junior? «Beh, perché forse la qualità dei giocatori era davvero ottima». E allora onore a Leo Junior, a Zico, a Socrates, Falcao, Cerezo ed Eder, a quell’imperiale Brasile di Tele Santana. E a chi riuscì a batterlo, ovviamente, in quel fantastico luglio del 1982.
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